martedì 22 marzo 2011

In questa storia, i nomi delle donne non sono necessari

L’Unità d’Italia ha voci e nomi quasi sempre esclusivamente maschili.
Carlo Alberto, Mazzini, Garibaldi e Cavour, Silvio Pellico e Diaz, Turati e Gramsci, Mussolini, Matteotti e Ciano, De Gasperi e Togliatti, Giolitti e Moro... 
Questi i nomi rievocati in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, i nomi di coloro che vollero l’Italia unita, i nomi di coloro che lottarono per far sì che la Repubblica nascesse.




Ma cosa dire dell'altra metà del cielo? Quella che dal basso (ma non solo!) ha lottato a fianco degli uomini per affermare il proprio diritto di esistere liberi da convenzioni sociali imbriglianti?

Proprio in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia Claudia Beltramo Ceppi ha curato una interessantissima mostra per il Palazzo Blu di Pisa che ho avuto il piacere di visitare qualche giorno fa.
Percorrendo le sale del Palazzo è possibile farsi piacevolmente accompagnare dalle stringhe storiche che guidano il percorso espositivo in un ideale racconto della rivendicazione femminile fino ai giorni d'oggi. Unico neo della prima sala è la scelta di chiudere la linea delle protagoniste di questa storia con l'immagine della Marcegaglia che onestamente non avrei citato in questa genealogia della lotta di rivendicazione femminile.

Senza retorica questa mostra ricorda le voci dimenticate, ma spero non cancellate, dell'altra metà dell'Unità, delle tante donne che, con il loro duro lavoro nei campi e nell'attenzione ai figli, hanno permesso ai loro mariti di emigrare all’estero e costruire un futuro migliore, delle vedove bianche che, attraverso due guerre mondiali, hanno sostituito i coniugi garantendo la continuità nella crescita economica del paese, accettando stipendi bassissimi e mortificanti, delle grandi donne che, come Maria Montessori e Anna Kuliscioff, rivoluzionarono rispettivamente la pedagogia e la scienza medica (con la scoperta dell’origine batterica della febbre puerperale che salvò la vita a tante donne).
 E poi Cristina di Belgioioso, Rosa Motmasson, Anita Garibaldi, Elena Regina, Grazia Deledda, Matilde Serao, Edda Ciano, Franca Viola di Alcamo, Palma Bucarelli, Tina Anselmi, Nilde Jotti, Alda Merini, Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Ilaria Alpi, Margherita Hack...
Per la galleria fotografica vi rimando a questo link:

Ogni sala compone un'installazione a sè, dalla serie di fotografie storiche, ai dipinti, alle interviste, agli abiti delle varie epoche, alla proiezione di filmati, alle lenzuola che stendono agli occhi dei passanti letti di memorie che vedono le donne protagoniste nel lavoro, in guerra, nella politica, nelle conquiste, nel rapporto con se stesse e con il proprio corpo, nella costruzione di un futuro lontano da diseguaglianze e contraddizioni che purtroppo ancora dominano la vita delle donne nel mondo.
La mostrà sarà visitabile fino al 26 Maggio 2011.
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lunedì 21 marzo 2011

Il discorso del re



Non esitiamo mai quando parliamo con noi stessi, non ci sentiamo impietriti nel dialogo interiore che accompagna le nostre ore di solitudine... eppure qualcosa accade quando, innanzi all'altro,  ci sentiamo smarriti e perdiamo completamente la sicurezza delle nostre parole e delle nostre certezze.

I discorsi li portiamo sempre dentro di noi ma non è lo stesso renderne gli altri partecipi.
Accade quindi che qualcosa improvvisamente si blocchi e che la tua anima provi a lottare ineluttabilmente contro un flusso di incertezze che smarriscono la logica del tuo pensiero.

Vorresti gettarti in terra tra le tue ginocchia e gridare, B-a-l-b-e-t-t-a-r-e, la tua paura, la tua ansia.... la tua voglia di tacere per sempre.... sssseempre.
Come coltelli ben appuntiti gli occhi impietositi di chi ti sta innanzi feriscono la tua anima che scalcia e non ti resta altro da fare che chiudere gli occhi, o meglio la tua bocca per sempre.
E così rischi di restare in silenzio a vedere la vita trascorrere mentre tutti lottano per affermare le proprie parole, quello stesso insieme di lettere che anche tu senti scalpitare dentro al tuo petto, alla tua gola su su su fino alle tue corde vocali che improvvisamente non rispondono alla tua volontà e perdono l'incantevole suono che vorrebbe dolcemente accompagnarle.

Questo il disagio di chi, lontano dalla folla della normalità, prova a padroneggiare i propri difetti del linguaggio.
Nella tua testa tutto è perfettamente identico alla normalità, al consueto parlare ma qualcosa dentro non produce il risultato atteso e conforme.
Una copia non conforme del consueto dialogare fluisce all'esterno del tuo corpo che disattende ogni desiderio innato di conformarsi alla regola. 
Smarrimento, desolazione e rassegnazione è tutto ciò che resta.

Non c'era scampo per Bertie, perchè lui ormai era il Re e al contrario di molti di noi non aveva più il diritto legittimo di restare nel proprio auto-colpevolizzante silenzio in cui spesso preferiamo nasconderci. 
Ma quale voce poteva usare se ancora non era riuscito a trovare la sua?
Lui doveva parlare al suo popolo alla vigilia del II conflitto mondiale, perchè nella sua epoca l'immagine ancora risiedeva prepotentemente dieci passi indietro all'oratoria che veniva diffusa alla Nazione via etere e tutto ciò che veniva percepito non era un'estetica della bellezza, ma un'armonia del suono e del silenzio, delle parole e delle pause riflettute.

Una amara commedia umana, perfettamente in equilibrio tra ironia e soffusa malinconia, quella del regista Tom Hooper che ha saputo egregiamente riportare sul palcoscenico cinematografico la storia, trasmettando i disagi dei suoi protagonisti e la forza di chi, attraverso metodi anticonformisti, riesce a ridare sicurezza ad un re, che poi è anche e prima di tutto un uomo, unendoci nell'universale riconoscimento del valore e della dignità che ogni singola/singolare voce porta con sè.

martedì 15 marzo 2011

A Soumaya intitolato il museo di Carlos Slim Helú

Ecco trovato un nido alla gigantesca collezione di famiglia!
L’imprenditore messicano Carlos Slim Helú, al primo posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo stilata dalla rivista Forbes nel 2010, ha inaugurato in questi giorni a Città del Messico il Museo Soumaya, la nuova casina per la "piccola" collezione di famiglia che, con 66mila opere, si presenta oggi come la più grande di tutta l’America Latina.

Ma dietro al gioco finanziario di un mecenate spendaccione c'è un romanticismo fulcro di quell'amore che supera le barriere del tempo e della morte. Il museo infatti prende il nome dalla moglie scomparsa nel 1999.  Un nome che dona eternità all'essenza di quella donna ed al legame che li ha strinti assieme.

Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato il presidente del Messico Felipe Calderon, lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez e il giornalista statunitense Larry King. 

L’imponente edificio è stato progettato dall’architetto Fernando Romero, il più celebre tra i giovani architetti sudamericani. La costruzione ha richiesto quasi sei anni. Emblematica la facciata esterna che ricoperta da circa 16mila pannelli esagonali di alluminio, dona luce alla larga scalinata che conduce all’entrata. All’interno lo spazio espositivo del museo ospiterà le opere di maestri europei come Leonardo da Vinci ed El Greco; pitture di Monet, Cezanne, Toulouse Lautrec e Van Gogh; sculture di Auguste Rodin e Salvador Dalí; opere degli artisti messicani Diego Rivera e Rufino Tamayo e vedrà molto sicuramente un continuo dialogo con le opere dei più rappresentativi artisti contemporanei intenazionali.

Il museo aprirà al pubblico il 29 marzo e l’entrata sarà gratuita. 

















 


lunedì 7 marzo 2011

Cinismo felino... milioni di morti fanno meno male di una zampa ferita

Quando l'uomo perde di vista il bene comune intrappolato da un innato egoismo, ecco che il cinismo che ne emerge viene subito falsato con un velo di buonismo. 
Ma questa volta per il nostro piccolo uomo non c'è via di fuga e non gli resta altro che tornare a sedersi ogni sera nel proprio caloroso ambiente domestico accarezzando ineluttabilmente la scritta che è stata ben impressa da un gatto: Milioni di morti fanno meno male di una zampa ferita.

Questo il titolo di un'opera del 2006 di Vedovamazzei, il duo composto da Simeone Crispino e Stella Scala considerati tra i maggiori protagonisti della scena artistica italiana degli ultimi quindici anni.
I due artisti si sono incontrati negli anni Ottanta al Liceo Artistico di Napoli e hanno proseguito insieme gli studi presso l’Accademia di Belle Arti, fino a fondare nel 1992 il gruppo Vedovamazzei.
Il loro pseudonimo è una dichiarazione di poetica, racchiusa nel binomio Vita/Morte che domina l’intera opera, frutto di una libertà intellettuale estranea ad ogni forma di condizionamento.

Vedovamazzei ri-crea, salva dall’oblio ogni istante frammentato del quotidiano, immergendolo in un passato che non deve aver mai fine ed un futuro che in qualche modo dobbiamo attenderci.
L'opera deve avere una entità viva, capace di stimolare il pensiero e l'emozione del suo fruitore, questo il primo comandamento!

VEDOVAMAZZEI - Milioni di morti fanno meno male di una zampa ferita - 2006
Courtesy of the artist and Magazzino, Roma




Pensate di entrare in una grande stanza e trovarvi di fronte ad un gruppo di sette vecchie poltroncine disposte con accurata casualità nello spazio e ravvisare tra le vostre mani un segreto che si perde nella notte dei tempi, una imbarazzante realtà che l'uomo per tutta la sua esistenza ha cercato di nascondere e difendere con le unghie.

Quelle stesse unghie che hanno invece inciso la frase cinica ma fortemente reale "Milioni di morti fanno meno male di una zampa ferita", appartengono ad un gatto (perchè l'uomo mai avrebbe avuto il coraggio di ammettere un tale pensiero) e ridisegnano un comfort domestico che all'apparenza niente e nessuno potrebbe destabilizzare.

È il conflitto tra naturale egoismo e coscienza dell’altro e della necessità di essere tra gli altri, ad essere messo in scena in questa opera ed a rivelare la battaglia che ogni giorno il giudizio morale dell'uomo si trova a combattere.... siamo davvero così sensibili alla morte di milioni di persone lontane da noi o forse il graffio sulla nostra zampa ferita si imprime in maniera più prepotente fino ad annullare il  tanto declamato sentimento simpatetico?

Niente è lasciato al caso e questo mondo, rappresentante ideale della dialettica degli opposti, viene abbandonato al giudizio che ogni uomo ha di sè innanzi allo specchio... ogni giorno.
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