lunedì 28 novembre 2011

La banalità del male dei freaks di Nathalie Djurberg

Misteriosa, spregiudicata, esasperante, altalenante, a tratti sublime...

Portrait of Nathalie Djurberg. Photo by Hans Berg
Courtesy of the artist and Fondazione Prada, Milan

Questa l'arte di Nathalie Djurberg (1978, Lysekil), l'artista svedese che nel 2009 ha ricevuto il Leone d'argento per il più promettente giovane artista della Biennale di Venezia Fare Mondi / Making Worlds.



  For image thanks to ZACH FEUER
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Un campionario di freaks, perturbanti protagonisti delle nostre coscienze contemporanee, animano le sue installazioni e i suoi video accompagnati dalle evocative colonne sonore appositamente composte da Hans Berg. I suoi pupazzi mettono in scena fantasie estreme, crudeltà inaudite, sul filo sottile della bestialità e della tenerezza.


Visitare una sua mostra è un'esperienza suggestiva che ci catapulta in un vorticoso immaginario infantile che deforma la realtà, rendendo il sogno un incubo spaventoso ed attraente, mescolando l'innocenza e la bestialità, la crudeltà e la seduzione.

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Nel video Snakes know it's Yoga, che personalmente mi ha aperto alla sua poetica, la Djurberg getta nel mondo personaggi fotografati nell'ineluttabile lotta per ricercare l'essenza delle cose, l'anima del mondo fino a scontrarsi però inesorabilmente con la loro unica percezione fruibile che è quella del dolore, dell'incuria e del degrado, frutto di una massificazione della carne ormai giunta agli estremi indecenti della contemporaneaità.
Sembra quasi una rievocazione de La morale del JouJou, dove Charles Baudelaire descriveva la pratica del bambino che rompe, scopre, distrugge il proprio giocattolo ricercandone l'anima, momento epistemologico che porta l'essere umano a scontrarsi con l'impossibilità di questa perpetua ricerca ossessiva.


Nelle sue storie deliranti, Nathalie Djurberg non puntualizza mai sui giudizi morali e lo spettatore resta in balia nella sospensione del giudizio. L'aspetto più inquietante delle sue installazioni che propongono scene di una ordinaria follia [donne obese che molestano un ragazzino gracile (Hungry Hungry Hippoes, 2007), bimbi che spensieratamente accoppano uomini (Florentin, 2004), un uomo che si automutila fino a trasformarsi in trastullo sessuale (The Necessity Of Loss, 2006) ... ] si situa proprio nell'impossibilità di distinguere tra vittime e carnefici.

Hungry Hungry Hippoes, 2007

 Florentin, 2004
Photograph: Nathalie Djurberg/Gio Marconi/Milan


The Necessity Of Loss, 2006
 
I suoi pupazzi contemporanei diventano l'emblema della banalità del male di cui ha parlato Hannah Arendt dove incommensurabile è la responsabilità morale che perde di vista la relazione causale in un sistema dinamico centrato sul caos.

Il bene e il male, colpevole e vittima vagano così in parallelo sulle note della disperazione umana.

LC